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sabato 7 maggio 2011

Quando passava il Giro d'Italia


“Dalla guerra eravamo usciti con la fame, senza una lira: Io andavo a caccia dei traguardi a premi: maiali, botti di vino, rotoli di cuoio”. (1)
Un assalto alla baionetta alla cuccagna del Giro d’Italia al quale Giovannino Corrieri, “il gregario di Bartali”, non si sottrae neppure il 5 giugno 1950. Si va da Milano a Ferrara lungo strade strette e polverose. E’ il Giro dell’Anno Santo e in maglia rosa c’è lo svizzero Koblet. Qualcosa più di un segno del destino. Nella classifica generale lo segue Bartali, orfano di Coppi. Il Campionissimo ha da pochi giorni abbandonato la carovana a causa dei postumi di una caduta che gli costa la rottura del bacino e lo costringe al ricovero in ospedale. Nascosto nella pancia del gruppo c’è l’acquaiolo Peverelli, forse ingiustamente indicato come responsabile dell’urto che ha spedito Coppi al tappeto. Lui non si dà pace: ha la pedalata più greve del solito e un peso sulla coscienza da trascinare per l’intera Pianura Padana. Bartali, dolorante ad un braccio, teme la fuga bidone che lo estrometterebbe definitivamente dalla corsa per la vittoria finale e tiene d’occhio le prime posizioni. Fa il pieno di applausi ‘Pelu’ Pedroni, il cremonese di Castelverde che indossa la maglia bianca, simbolo del primato nella speciale classifica degli “indipendenti”. Fra Pelu e Castelleone esiste un legame che risale ad undici anni prima, al 4 giugno del ‘39 quando con Pessina e Capelletti accompagnò Guerrino Valesi alla vittoria nel campionato italiano a squadre. I corridori entrano in paese intorno a mezzogiorno provenienti da Crema, percorrono il viale del Santuario e dopo la doppia curva dei giardini, in fila indiana, sbucano in via Solferino. Corrieri ai piedi del Torrazzo piazza l’allungo e conquista il premio. Le cronache del tempo non riportano il dettaglio della vincita, ma certo nulla di paragonabile alle 25 mila lire messe in palio una decina di chilometri prima nel traguardo volante sistemato a Crema, lungo viale Repubblica. E nemmeno alle 10 mila lire di Cremona, frutto della sottoscrizione aperta al bar Dondeo che finiranno nelle tasche sempre troppo vuote di Dante Rivola (anche se alcune fonti dell’epoca riportano ancora Corrieri come vincitore). A Castelverde, invece, lo sprint è appannaggio di Pedroni, che precede Albani. Il ritmo della tappa stenta comunque a salire nonostante le scaramucce. Si deve attendere la piana fra Piadena e Bozzolo per registrare la prima fuga. Volpi morde il manubrio, dà gas alle sue leve e lascia alle spalle il gruppo. Nei pressi di Ostiglia è raggiunto da Adolfo Leoni e Biagioni. Poi rientrano anche Grosso e Ghirardi, altri comprimari. Caldo e polvere bruciano le gole e cuociono i ciclisti. Volpi, vinto dalla sete, si infila in un cascinale a chiedere acqua e scende dal treno della vittoria. Leoni fora, si stacca ma rientra giusto in tempo per giocarsi lo sprint decisivo con Biagioni nell’ippodromo ferrarese di Sa Luca. Ed è proprio lui a vincere concludendo una maratona durata 7 ore 13 minuti e 14 secondi. Il gruppo, che per tutto il giorno pedala svogliato, giunge al traguardo con diversi minuti di ritardo. E Koblet tiene stretta quella maglia rosa che porterà trionfalmente fino a Roma.

Il traguardo volante di Castelverde nel racconto de La Stampa del 6 giugno 1950

Qui si era nel paese della maglia bianca, che è Silvio Pedroni, primi nella classifica dei corridori di seconda serie, e chissà perché, chiamati indipendenti. La gente schierata ai lati della strada già ne gridava ad altissima voce il nome al passaggio delle moto e delle vetture che precedono la corsa; e qui tutti lo ricordano fino a qualche anno fa, addetto al lavoro dei campi, donde tornava a casa a notte fatta con la falce (o la zappa) sulla spalla. Perciò un subisso di applausi accolse il vittorioso passaggio a Castagnino dell’illustre concittadino

vedi: Vai che sei solo di Marco Pastonesi

domenica 1 maggio 2011

Il Primo Maggio delle Leghe Bianche nel 1920

Diecimila contadini riuniti in convegno a Castelleone. Arrivano dal cremonese, dal cremasco e dalle province vicine. E’ il 1 maggio 1920. A guidarli è Guido Miglioli, leader carismatico delle Leghe bianche che qui hanno la loro roccaforte. Giusto alcune settimane prima, durante un incontro pubblico tenuto sempre a Castelleone, il deputato illustra le linee guida di una proposta di legge destinata, se approvata, a cambiare radicalmente il volto nei rapporti fra agrari e salariati agricoli. Il clima è tesissimo: i proprietari terrieri accusano Miglioli di voler “proletarizzare le aziende” superiori ai 25 ettari; i contadini migliolini vedono invece in quella proposta, che basa le proprie prerogative sulla “compartecipazione aziendale”, la via da seguire per vincere fame e miseria, riscattando una condizione sociale precaria. Gli scioperi sono alla porta e il rischio di tumulti si fa sempre più concreto in tutto il Cremonese. La cronaca dell’adunanza è riportata nel diario di don Gioachino Bonvicini, pubblicato nel 1975 dalla SugarCo Edizioni con il titolo: Memorie di un parroco cremonese. Frasi convulse, quelle del sacerdote, che lasciano trasparire per intero la sua montante preoccupazione

Oltre 10 mila contadini adunati in convegno a Castelleone reclamano la terra coll’11 novembre 1920. Cantano: Vogliam le fabbriche, vogliam la terra. Ma senza guerra, ma senza guerra! Vogliam le fabbriche, vogliam la terra, e senza guerra si vincerà! E gridano Bandiera Bianca!
Mentre i socialisti hanno la bandiera rossa e vogliono il comunismo. Cioé che la terra sia dello stato, i contadini devono lavorare con la paga senza lusinga d’interesse per la maggior produzione quindi i contadini restano militarizzati. Ammettono però anch’essi la cooperativa del lavoro e ne hanno già stabilite specialmente colle terre degli ospitali. Dopo pagato ogni cosa la somma che avanzerà si dirà il capitale della società ma non verrà distribuito ai singoli contadini ma si adopererà per altre operazioni. Ora vi è una lotta tremenda tra il socialista e il Partito Popolare che dicono cristiano. I preti sono i più bersagliati dai socialisti, quante calunnie inventano contro di essi, quante ingiurie ancora personali. Ma niente paura ed avanti! Questi contadini sono tutti del Partito Popolare italiano (cioé cristiano non socialista). L’avv. Miglioli è il loro deputato principale. Il Miglioli è cristiano educato nel collegio salesiano di don Bosco a Torino. E si è dichiarato cristiano anche nella camera dei deputati.

Don Bonvicini, parroco di Ognissanti (frazione di Pieve San Giacomo), annota i fatti nel suo diario il giorno 8. Questo perché deve aver letta la notizia su qualche organo di stampa. Il Popolo di Cremona (1), infatti, lo stesso giorno riporta la seguente corrispondenza che ha per oggetto la manifestazione castelleonese

Da ogni parte si levano inni. Da ogni via, squadre di giovani, arditi dell’idea, accorrono cantando Bandiera Bianca. Corte Madama lancia il suo drappello. Fiesco, audace, è scesa col suo gruppo vorticoso. Pizzighettone ha in testa al corteo la sua valente banda che squilla la comune letizia. E Trigolo, avanguardista, pure colla bandiera alla bersagliera... Oh! L’innumere e immensa folla su cui sventola un’unica fede, un’unica bandiera: bandiera bianca.

In pase, dunque, vi sono diecimila contadini tutti appartenenti alle Leghe Bianche. L’intesa con le Leghe Rosse è ancora lontana: sarà siglata solo il 10 marzo 1922, successiva alla netta ostilità palesata dagli agrari nei confronti del Lodo Bianchi. Miglioli, parlando di quegli accadimenti, anni dopo nel suo “Con Roma e con Mosca” scrive:

Questa era la terra designata per un nuovo esperimento, poiché i contadini bianchi, specie i giovani ed i reduci dalla guerra, con una dignità e personalità nuove, non si accontentavano più di aumenti salariali, che erano l’obiettivo principale dell’azione socialista. Essi volevano guadagnarsi una nuova posizione giuridica e morale nell’azienda, dove versavano il loro sudore, e perciò fecero propria questa parola d’ordine lanciata dalle organizzazioni cristiane: l’agricoltore non più padrone; il contadino non più salariato. Una agitazione imponente piegava gli agrari più restii all’accettazione di tale principio, da tradursi in atto col San Martino (11 novembre) del 1920, mediante un contratto collettivo a struttura associativa tra conduttori e lavoratori.

Ma il corso della storia in quei giorni piega bruscamente verso ben altro sentiero.


(1) vedi: Padania. Il mondo dei braccianti dalla fine dell’Ottocento alla fuga delle campagne, prof. Guido Crainz, Donzelli 1994