“Dalla guerra eravamo usciti con la fame, senza una lira: Io andavo a caccia dei traguardi a premi: maiali, botti di vino, rotoli di cuoio”. (1)
Un assalto alla baionetta alla cuccagna del Giro d’Italia al quale Giovannino Corrieri, “il gregario di Bartali”, non si sottrae neppure il 5 giugno 1950. Si va da Milano a Ferrara lungo strade strette e polverose. E’ il Giro dell’Anno Santo e in maglia rosa c’è lo svizzero Koblet. Qualcosa più di un segno del destino. Nella classifica generale lo segue Bartali, orfano di Coppi. Il Campionissimo ha da pochi giorni abbandonato la carovana a causa dei postumi di una caduta che gli costa la rottura del bacino e lo costringe al ricovero in ospedale. Nascosto nella pancia del gruppo c’è l’acquaiolo Peverelli, forse ingiustamente indicato come responsabile dell’urto che ha spedito Coppi al tappeto. Lui non si dà pace: ha la pedalata più greve del solito e un peso sulla coscienza da trascinare per l’intera Pianura Padana. Bartali, dolorante ad un braccio, teme la fuga bidone che lo estrometterebbe definitivamente dalla corsa per la vittoria finale e tiene d’occhio le prime posizioni. Fa il pieno di applausi ‘Pelu’ Pedroni, il cremonese di Castelverde che indossa la maglia bianca, simbolo del primato nella speciale classifica degli “indipendenti”. Fra Pelu e Castelleone esiste un legame che risale ad undici anni prima, al 4 giugno del ‘39 quando con Pessina e Capelletti accompagnò Guerrino Valesi alla vittoria nel campionato italiano a squadre. I corridori entrano in paese intorno a mezzogiorno provenienti da Crema, percorrono il viale del Santuario e dopo la doppia curva dei giardini, in fila indiana, sbucano in via Solferino. Corrieri ai piedi del Torrazzo piazza l’allungo e conquista il premio. Le cronache del tempo non riportano il dettaglio della vincita, ma certo nulla di paragonabile alle 25 mila lire messe in palio una decina di chilometri prima nel traguardo volante sistemato a Crema, lungo viale Repubblica. E nemmeno alle 10 mila lire di Cremona, frutto della sottoscrizione aperta al bar Dondeo che finiranno nelle tasche sempre troppo vuote di Dante Rivola (anche se alcune fonti dell’epoca riportano ancora Corrieri come vincitore). A Castelverde, invece, lo sprint è appannaggio di Pedroni, che precede Albani. Il ritmo della tappa stenta comunque a salire nonostante le scaramucce. Si deve attendere la piana fra Piadena e Bozzolo per registrare la prima fuga. Volpi morde il manubrio, dà gas alle sue leve e lascia alle spalle il gruppo. Nei pressi di Ostiglia è raggiunto da Adolfo Leoni e Biagioni. Poi rientrano anche Grosso e Ghirardi, altri comprimari. Caldo e polvere bruciano le gole e cuociono i ciclisti. Volpi, vinto dalla sete, si infila in un cascinale a chiedere acqua e scende dal treno della vittoria. Leoni fora, si stacca ma rientra giusto in tempo per giocarsi lo sprint decisivo con Biagioni nell’ippodromo ferrarese di Sa Luca. Ed è proprio lui a vincere concludendo una maratona durata 7 ore 13 minuti e 14 secondi. Il gruppo, che per tutto il giorno pedala svogliato, giunge al traguardo con diversi minuti di ritardo. E Koblet tiene stretta quella maglia rosa che porterà trionfalmente fino a Roma.
Il traguardo volante di Castelverde nel racconto de La Stampa del 6 giugno 1950
vedi: Vai che sei solo di Marco Pastonesi