Il vantaggio dei due salì fino a un minuto a Castelleone, dove Girardengo, che già era riuscito ad accodarsi alla fila in subbuglio, rimase tagliato fuori con la coda di essa appunto per l’acceleramento provocato dal colpo di mano di Debenne
(Giuseppe Ambrosini, La Stampa, 19 maggio 1935)
I corridori lungo Viale Santuario (Arch. Luce) |
Il viale del Santuario si traveste da viale del Tramonto Anche se lui, Girardengo, cerca di sfuggire alla presa del destino nell’impari lotta che i mulini a vento, agitati dallo scandire del tempo, gli muovono contro. Il grande campione, già orfano del suo rivale di sempre – l’eterno secondo Tano Belloni da poco è sceso dal sellino - appesantito nel fisico, indebolito nei muscoli alla fine si arrende. E’ il Giro del 1935. Girardengo ormai è l’ultima icona del ciclismo pionieristico. Quello delle partenze all’alba con il fanale avvitato al manubrio che fa sembrare i corridori tanti minatori della strada. Gira è il reduce di uno sport che si è corso su percorsi impossibili. Tappe interminabili portate a termine solo dopo aver infilato nelle giberne uova sode e frittate, addentate per zittire i morsi della fame e non dar troppo retta alla fatica. Altri tempi. Lontani e, dicono loro, i pionieri, neppure troppo parenti con quelli delle moderne biciclette in voga negli anni Trenta, leggere e maneggiabili.
Costante si presenta al via della ventitreesima edizione del Giro, all’Arena, quando ha ormai varcato la soglia dei 42 anni e alle spalle si è lasciato due vittorie nella corsa rosa, sei nella Milano-Sanremo, tre nel Lombardia e un secondo posto conquistato al Mondiale del '27, corso sul circuito del Nurburgring e vinto da Binda. Si va da Milano a Cremona; 165 chilometri che si snodano fra Lecco e Bergamo, fanno breccia nel Cremasco appena oltrepassata Mozzanica, attraversano Castelleone, toccano Soresina e Casalbuttano e finiscono sul viale Trento e Trieste rinfrescato per l’occasione da Farinacci. Il pronostico della vigilia indica Learco Guerra, la Locomotiva Umana, nelle vesti di favorito; un giovanissimo Bartali già dà filo da torcere a campioni consacrati: per lui il Giro del ’35 è la prova generale verso il successo dell’anno successivo; Binda è invece all’ultimo atto di un'entusiasmante carriera. Poi ci sono i francesi, agguerriti garibaldini della bicicletta che giurano, con Archambaud e Vietto, di dare battaglia fino all’ultimo colpo di pedale. Girardengo, giunto a Milano il giorno prima della partenza in auto, si presenta indossando una maglia bianca cerchiata con il tricolore. In tasca tiene la tessera di corridore ciclista arrivata da Roma nemmeno 24 ore prima. Fra i denti stringe una busca alla maniera di Tano, che è lì a salutarlo dal bordo campo. Con il nipote Bailo, pure lui in gara, scommette che riuscirà a precederlo sul traguardo di Cremona. Intanto sorride mentre la telecamera lo immortala per il Cinegiornale dell’Istituto Luce. Il via, intorno a mezzogiorno lungo viale Monza, lo danno il federale Parenti e il Duca di Bergamo, Adalberto di Savoia-Genova. Si entra in Brianza e con lo sguardo immediatamente si puntano i sopra Lecco. A dirigere le operazioni è ancora Armando Cougnet, la grande mente del Giro. Il vento, aspro e contrario, frusta i volti dei corridori; nonostante tutto la corsa, che procede a velocità sostenuta, s’incendia. Fra i primi a dare fuoco alle polveri è Archambaud, che di lì a qualche anno (nel 1937) stabilirà il record dell’ora sull’anello del Vigorelli. Alla sua ruota si accodano e si avvicendano decine di rivali. Il vento cede il passo a temporale e scrosci di pioggia. Il sole tornerà ad accompagnare gli atleti solo al loro ritorno nella piana, in territorio cremonese. E’ un susseguirsi di colpi di mano: sulle ceneri di un tentativo andato in briciole ne rifiorisce immediatamente un altro. Girardengo, meno curvo del solito sul manubrio per via di un accenno di pancetta, resta al coperto. Poi, prima dell’ascesa che conduce ai prati di Pontida, fora. Pare essere un contrattempo da poco, invece perde tempo prezioso, si attarda nel cambio ruota e accumula secondi su secondi di ritardo. Davanti l’adrenalina del risultato fa spingere a tutta i concorrenti. Il campione si aggrappa alle due armi che ancora gli rimangono: l’inarrivabile classe e la ferrea ostinazione. Al suo fianco ci sono Cazzulani e Gerini. Ma a tirare le fila è sempre l’altro, l’indomito omino di Novi. Sembra la fine. Un giornalista al seguito si avvicina a Girardengo e gli sussurra l’entità del distacco. “Magari muoio, ma non mi ritiro”, ringhia di rimando l’idolo della folla. Comincia la fuga al contrario. Costante ha ancora voglia di mangiare polvere e la rimonta impossibile avvicina il suo malleabile confine tanto da farsi cosa concreta. Girardengo macina i chilometri e guadagna terreno. A Mozzanica vede la coda del plotone, a Crema la tocca quasi con mano. A Castelleone il ricongiungimento pare compiuto. Ma intanto, davanti, ricominciano gli scatti. L’allungo di Debenne, che si porta appresso Giacobbe, non lascia insensibili i big del momento e l’andatura si rifà vorticosa. La telecamera dell’Istituto Luce fissa nel tempo l’immagine in bianco e nero dei fuggitivi che transitano lungo viale Santuario fendendo due ali di folla. Girardengo, proprio quando assapora l’ultima delle sue memorabili imprese, imboccando il viale e volgendo le spalle alla Madonna sente le gambe farsi ghisa. E tira il freno per non andare fuori giri. Di sventolare bandiera bianca, però, nemmeno se ne parla. Il resto è cronaca. Sono in quattro a dare vita alla fuga buona. Sul traguardo di Cremona vince Vasco Bergamaschi, detto Singapore. Lui, che nelle volate ha sempre avuto il suo tallone d’Achille, vince allo sprint sotto gli occhi del conterraneo Tazio Nuvolari e posa la pietra sopra la quale costruirà l’inaspettato successo finale. Dietro il mantovano: Piemontesi, Buttafocchi e Zucchini. Gli assi sono relegati alle loro spalle. Girardengo, invece, conclude la sua fatica con oltre tre minuti di ritardo. Il nipote Bailo è con lui. Ad ogni modo la scommessa è vinta. Si ritirerà definitivamente alla quarta tappa.