Quello pubblicato di seguito è un articolo a firma Claudio Zanardi comparso sul quotidiano La Cronaca di Cremona del 14 settembre 2011. Lo riporto per due ragioni: si tratta di una ricerca 'nuova' che riguarda Castelleone e nel contempo è destinata a far discutere. Di ciò l'isolasonante prende atto.
Le luci si sono spente. Anche il quinto centenario, 1511-2011, delle apparizioni di Santa Maria della Misericordia di Castelleone è da ritenersi archiviato. Quindi posso scrivere questo articolo che, se fosse uscito prima, magari poteva ‘disturbare’; avevo comunque anticipato l’argomento nella pubblicazione sulle immagini del Santuario.
Una premessa: la mia è esclusivamente una ricerca storica e non intendo toccare altri campi se non la storia di una Comunità.
Entriamo subito e senza fronzoli nell’argomento: la vicenda delle apparizioni della Madonna della Misericordia è tutta inventata. Per essere più preciso: l’anno dell’evento, la persona che disse d’aver visto la Vergine, l’evolversi delle apparizioni, e il resto, è tutta invenzione di don Clemente Fiammeni.
Non vi erano pertanto centenari da festeggiare, e l’avvenimento è da annoverare fra le bufale storiche che sommergono il borgo.
Innanzi tutto, e per amor del vero, il Fiammeni non ha mai affermato che la storia di Domenica Zanenga, che vide la Vergine per quattro volte, una al giorno a partire dall’11 maggio 1511, fosse vera, anzi ha detto esplicitamente che l’aveva inventata. Coloro che la credettero veritiera sono stati i posteri, anche se l’autore ci mise lo zampino per intorbidire le acque.
La vicenda delle apparizioni compare per la prima volta sull’Historia in versi della chiesa di Santa Maria della Misericordia, scritta da don Clemente nel 1630 e stampata a Cremona dagli Zanni nel 1633. Lo stesso argomento venne poi dall’autore messo in prosa, e pubblicato nel 1642 dai medesimi stampatori. Nella terza pagina di questo secondo libretto, allorquando si rivolge “Al pio Lettore”, afferma che ha ricavato le notizie dal nostro archivio, da documenti, ed altro: “e finalmente da una pia, e santa probabiltade. nel 1633 feci stampare le dette cose in verso volgare per mia devozione, gusto e ricreazione nel stare retirato per la peste del 1630”. Quindi, mentre era rifugiato in qualche posto isolato per sfuggire il contagio, ha scritto una pia e santa “probabiltade”, probabilità, cioè una “narrazione inventata, contenente una teoria ritenuta vicina al vero”. Perciò escogitò una storia che, a suo giudizio, poteva avvicinarsi alla verità, e la trasformò in poema per poi riprenderla in prosa. Le notizie di archivio, e documentate, che cita, sono quelle relative alla costruzione della chiesa, all’avvento degli Agostiniani, alla statua della Vergine, eccetera, la probabiltade riguarda le apparizioni.
Se inventò la vicenda è evidente che a monte non vi erano notizie in merito: se ve ne fossero state avrebbe messo in rima quelle, non per la Verità, virtù della quale era privo, ma perché stava invocando la Vergine affinché lo salvasse dalla peste, e quindi non avrebbe osato mentire.
A che titolo allora venne eretto il Santuario? È ancora il Fiammeni a dirlo nelle righe iniziali del poema: “Un bel desio Signor m’ingombra il petto / Di cantar l’opre, e l’alta meraviglia, / Che al castel nostro con cortese affetto / Del’Ciel la Donna, e del suo figlio figlia / Mostrò, quando il bel tempio gli fu eretto, / Quanto un lontan, ne fosse à molte miglia;”.
In questi pochi versi ci spiega ogni cosa: innanzi tutto che narrerà i miracoli, “l’opre”, che avvennero “quando il bel tempio gli fu eretto”, e quindi non vi sono apparizioni ma fu la costruzione del nuovo Santuario che ‘provocò’ i miracoli della Donna del cielo; poi, che la chiesa era in sostituzione di un’altra più lontana di “molte miglia”.
Questo era l’inizio, poi la vena poetica lo porterà ad inventare una Domenica visionaria con quel che segue.
Nel 1617 il Santuario era stato donato agli Agostiniani ed il popolo si era distaccato da quella chiesa. Quando nel 1781 il sacro luogo ritornò alla Comunità, i castelleonesi, che non avevano altre versioni dell’accaduto, presero per oro colato le parole del Fiammeni, ed è pertanto dalla fine del settecento che si cominciarono a festeggiare regolarmente le apparizioni.
Superfluo dire che non vi è nessuna documentazione che parli di Domenica Zanenga, né delle sue visioni, né del loro evolversi, e neppure la Chiesa non si è mai pronunciata in merito.
Le due opere del Fiammeni prima menzionate, riguardanti l’avvenimento, che dovrebbero essere identiche salvo il fatto che una è in versi e l’altra in prosa, in realtà non lo sono affatto, e nel 1642 il Don aggiusta le notizie del 1633. Circa le persone, prima non conosce i loro nomi, e di colei che vide la Vergine così scrive: “Chi Cuggia la diceva, e Cominetta, / Chi Zanenga, e Melesa, non sò, come / Altri poi la chiamasser Zanenghetta”; a seguire ‘crede’ che il marito morto si chiamasse Bertol Camerino, ed i figli, “come hò sentito” dire, fossero Lorenzo e Comino.
In seguito, cioè nel 1642, trova casa a tutti quei nomi ripartendoli sui genitori: Domenica era figlia di Antonio Zanengo detto Meleso e di Orsola Cominetta detta Cuggia. Della miracolata, della quale neppure sapeva il cognome, ora ci propone persino l’anno della nascita, il 1461, e a suo modo il mese: “in circa di Settembre”. I registri delle nascite e delle morti ancora non c’erano e lui ci sguazza. Nel poema scrive poi che il secondo giorno la Vergine storpia il braccio a Domenica, e gli indebolisce il fianco, in prosa è offeso solo il braccio. Poi, dopo che il prete che la tocca resta col braccio offeso, Domenica, alla quale la Madonna aveva tolto la parola: “la voce / Alza ella, che fin hor è stata muta”, nell’opera in prosa gli sembra fuori tempo il miracolo del ritorno della voce e lo sposta al giorno dopo. Nel poema, sempre nel secondo giorno, va con molta gente, soprattutto donne “Che le Donne son facili al peccato, / Ma braman tosto haverlo cancellato”, mentre nella versione successiva alla vigna ci va da sola. Nel poema la Vergine gli accorcia la gamba: “ Poiché la vecchia fu dalla man sciolta / La gamba destra ritirar sentissi”, mentre nella versione successiva ritiene di storpiargli un fianco, e mi fermo per non annoiare.
E’ una narrazione che fa acqua da tutte le parti dove l’autore neppure si preoccupa di riprendere quanto ha scritto in precedenza. Non credibile neppure l’antefatto, quando, per giustificare la presenza di Domenica in quel luogo, le fa affittare una vigna, con tutti i lavori di zappa e badile, di concimazione, di orari d’acqua, di potatura, che questa donnetta doveva sobbarcarsi a un chilometro e mezzo dal paese, ma trattandosi di una probabiltade tutto è consentito.
Quindi il Santuario sostituiva una vecchia chiesa, ma questa dove si trovava? A grandi linee ce lo dice il notaio Giacomo Arnolfi nell’atto 25 giugno 1512 reperibile presso l’Archivio di Stato di Cremona, filza unica 421: si tratta del testamento di Giacomo Madi il quale lascia lire 4 alla chiesa di Santa Maria della Misericordia in contrada Gramignana, ed un pallio alla chiesa di Santa Maria della Stella. Ricordo che la costruzione dell’attuale Santuario iniziò nel 1513 e che la Gramignana è una grande cascina, o meglio due, poste non lontano dal confine con Madignano.
A quel tempo per contrada si intendeva territorio, e ricordo che la chiesetta di quelle cascine, ora vergognosamente in stato di abbandono, è dedicata a San Giovanni Decollato.
La ragione per la quale la vecchia chiesa, di certo dedicata alla Vergine, venne rifatta, può essere la più semplice: era malconcia e andava ricostruita, però è probabile che i fondi si sarebbero trovati solo edificandola più vicino al paese, e così venne fatto utilizzando un pezzo di terra di proprietà della parrocchia. Ci doveva comunque essere una spinta religiosa, magari quella Madonna aveva fama di proteggere dalle epidemie, o aveva appena salvato la Comunità da qualche calamità, oppure si era dimostrata prodiga di miracoli.
Donazioni ne troviamo anche in altri testamenti: notaio Giovanni Francesco Arnolfi, filza unica 590, il 6 settembre 1513 Gianmarco Clerici lascia, per la costruzione del tempio 50 pertiche di terra in comune di San Bassano, e, allo stesso scopo, Facino de Olmo, in data 16 dello stesso mese, lascia un migliaio di pietre, donazione questa allora normale perché i preventivi ed i pagamenti si facevano per ogni mille mattoni messi in opera.
Ora nel Santuario c’è una Madonna col Bimbo opera di Paolo Maltempo da Cremona, arrivata, sembra, nel 1560; può darsi che fino a questa data ci sia stato il simulacro portato dalla vecchia chiesa, e la nuova immagine ricalchi l’antica. Se così fosse, neppure in precedenza la Madonna era nata ‘della Misericordia’ perché questa veniva effigiata diversamente, senza figlio e nell’atto di accogliere sotto il suo manto i fedeli per proteggerli. Un’altra prova della veridicità della tesi esposta è la lapide, in lingua latina, che si trova dietro l’altare del Santuario: “Sotto questa pietra è sepolta la donna alla quale un tempo la Madre di Dio concesse di essere vista ed anche di parlargli. 1520”; poi sta scritto che nel 1810 e 1937 la sepoltura venne visitata.
La defunta l’hanno sempre spacciata per Domenica Zanenga, iniziando dal Fiammeni, però, anche questo nella probabiltade ci può stare, così come gli atti notarili che inventa.
Nel cinquecento le chiese abbondavano di lapidi di marmo a ricordo dei trapassati e riportano tutte, in modo leggermente diverso l’una dall’altra, il nome e la data di morte, e a volte anche gli anni del defunto. Nel nostro caso non c’è nulla, salvo l’anno di realizzazione della lapide, mentre, data l’importanza dell’estinta, come accadde in simili casi, ci doveva essere scritto parecchio più delle altre. La risposta al totale silenzio è una soltanto, inoppugnabile: non c’è nessuna indicazione perché non vi erano dati da mettere. Evidentemente l’antica chiesa ricordava un’apparizione e custodiva le ossa di colei che aveva detto d’aver visto la Madonna. Nel 1520, anno della posa della lapide che il Fiammeni e proseliti indicano come quello della morte di Domenica, portarono le ossa, che si trovavano nella vecchia chiesa forse già caduta, nel nuovo tempio: a causa dei secoli trascorsi, della miracolata non si sapeva più neppure il nome, e sul marmo nulla venne scritto.
Fu di certo questa lapide l’inizio di tutto: se non ci fosse stata, il Santuario sarebbe come la vicina Santa Maria Bressanoro, una chiesa come tante costruita per devozione e null’altro, ma quella scritta solleticò la fantasia del Fiammeni che inventò la storia.
Riassumendo: una donna che asserì d’aver visto la Vergine c’è stata, però non si tratta di Domenica, né l’apparizione avvenne dove c’è il Santuario, e neppure il 1511 è l’anno dell’evento che è antecedente di secoli, e gli asseriti miracoli avvennero non per le apparizioni, ma fu un ‘ringraziamento’ della Donna del cielo per avergli eretto un Santuario.
Il tempo, coadiuvato dagli uomini, ha cancellato ogni traccia di quanto realmente avvenne.
Unica cosa che ritengo veritiera è il giorno, l’11 maggio: tutte le chiese avevano ed ancora hanno il loro giorno di festa, e quello del vecchio altare rimase.
Per non pentirmi riporto la leggenda di Ripalta Arpina. Si tratta del racconto più radicato nel ricordo dei vecchi che nei tanti trascorsi decenni mi sia capitato d’ascoltare. La narrazione non era mai uguale, ma aveva dei punti in comune: la Madonna della Misericordia era apparsa in altro luogo, non quello dove ora si dice, e la sua statua, posta in una chiesetta, poi crollata, guardava verso Ripalta. Nel nuovo Santuario la statua venne collocata rivolta da un’altra parte, però per tre volte la trovarono girata verso quel paese. Il commento finale dei racconti, seppure poco chiaro ed espresso in forme diverse, si assomigliava: la Madonna protegge loro e non i castelleonesi.
Ricordo che i due paesi si trovavano in Stati diversi: Castelleone nel Ducato di Milano e gli arpini sotto la Repubblica di Venezia, e che i confini erano spesso controversi.
La verità è però a portata di mano. Nel 1810 le ossa di colei che disse d’aver visto la Vergine sono state collocate in una cassetta di rovere, poi murata, e successivamente riviste e nuovamente murate nel 1937. Con le moderne tecniche si può risalire al tempo della morte ed agli anni che aveva la defunta, e il dilemma, per chi l’avesse, è risolto.
Se poi nel 1810 avessero ‘toppato’ e nella cassetta venissero rinvenute le ossa di un frate sepolto secoli dopo, pazienza: non sempre chi cerca trova (quel che cerca).
CLAUDIO ZANARDI (La Cronaca di Cremona, 14 settembre 2011)